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Ifigonia

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IFIGONIA

Tragedia classica in tre atti, ovvero

IN CULIDE

Personaggi:

  • IL RE DI CORINTO
  • LA REGINA
  • IFIGONIA, sua figlia
  • ALLAH BEN DUR, primo pretendente
  • DON PEDER ASTA, secondo pretendente
  • UCCELLONE, CONTE DI BELMANICO, terzo pretendente
  • SPIRO KITO, Samurai, quarto pretendente
  • ENTER O'CLISMA, Gran Sacerdote
  • IN MAN LAH, Gran Cerimoniere
  • BEL PISTOLINO, Elefante Sacro
  • CORO, di nobili vergini e popolo

Il dramma si svolge a Corinto nell'anno 69 d.C...



ATTO PRIMO

SCENA
Reggia di Corinto, Sala del Trono.
Le porte sono spalancate per dare accesso al popolo.
Entra il Gran Cerimoniere.

Gran Cerimoniere
O popolo bruto, su snuda il banano,
non vedi che giunge l'amato sovrano?
Il Sir di Corinto dal nobile augello
qual mai non fu visto più duro e più bello;
Il Sir di Corinto dall'agile pene
terrore e ruina del fragile imene;
Il Sir di Corinto dal cazzo peloso
del cul rubicondo ognora goloso.
O popolo invitto, in gesta d'amore
s'affermi il Sovrano più caro al tuo cuore.
Rendiamogli omaggio nel modo migliore,
offrendogli il culo delle nostre signore.

(Entra il Re seguito dalla corte)

Popolo
Noi siamo felici, sappiategli dire, [1]
che tutto al Sovrano c'e' grato d'offrire.
Le nostre consorti facciam preparare
in modo che a turno le possa inculare.
Noi siamo felici, noi siamo contenti,
le chiappe ed il culo porgiam riverenti:
che al nostro gentile e amato sovrano
rimanga gradito il buco dell'ano.

(Entra il re seguito dalla Corte. Le nobili dame hanno le parti del corpo desiderabili leggermente velate. Il Re, con noncuranza, tocca di tanto in tanto le forme delle damigelle più carine.)

Re
O sudditi amati, io resto confuso!
Il turno dei culi che offrite per l'uso
sarà più gradito al regio mio cazzo
che mai troverebbe migliore sollazzo.
La gioia che mi doni, o popolo, è si grande
che già l'uccello regio distende le mutande.
Per mio regal decreto sarà da stamattina
distribuita ai poveri gratis la vaselina:
che al fine permetta, finché lo vogliate,
di fare nell'ano gloriose chiavate.
Voglio sian compensati i sudditi fedeli,
il cul pigliate pure, ma state attenti ai peli.

(Segni di giubilo)

Gran Cerimoniere
Adesso fuori dai coglioni
per lasciar posto ai Principi e ai Baroni.
Ai Principi e ai Baroni e ad Ifigonia bella
che sospirando brama l'ardor di una cappella.

(Il popolo fa largo ed entrano i nobili che si dispongono ai lati del trono. Entra Ifigonia, seguita dalle vergini)

Coro delle Vergini (Danzando)
Noi siamo le vergini dai candidi manti,[2]
siam rotte di dietro, ma sane davanti;
i nostri ditini son tutti escoriati
a furia di cazzi che abbiamo menati.
Nell'arte sovrana di fare i pompini
battiamo le troie di tutti i casini;
la lingua sapiente e l'agile mano
dan gioia e sollievo al duro banano.

Ifigonia (gettandosi piangente ai piedi del trono)
Padre mio, padre mio,
sono presa dal desìo![3]
Ho già un dito che fa male
per l'abuso del ditale;
ho la fica che mi tira
come corda di una lira;
sto soffrendo atroci pene
pel prurito dell'imene;
nella fica ho appena messo
la manopola del cesso;
mi ficcai nella vagina
la più grossa colubrina;
mi son messa dentro il buso
sino il cero di Caruso,[4]
mi piantai nel deretano
cinque dita con la mano.
Credo giunto sia il momento
di donarmi un Reggimento,
che non sappia manovrare,
ma sia lesto nel montare;
nella fica anelo tanto
d'appagarlo tutto quanto,
me la sento rovinata
senza averla adoperata.
Padre mio sì forte e bello,
ho bisogno di un uccello:
d'un uccel di nobil schiatta
che mi spelli la ciabatta,
di una fava grossa e dura
che ricrei la mia natura.
Manda un bando per il Regno,
sia trovato uccello degno
che finisca le mie pene
spalancandomi l'imene.
Padre mio, se non mi sposo
morirò senza quel Coso.

Re
Giuste son le tue brame, o figlia bene amata,
s'io padre non ti fossi, di già ti avrei chiavata.
Con la regal consorte, tua madre la Regina,
n'ho fatte diciassette soltanto stamattina...[5]

Regina (Interrompendo il Re)
Se mi alzo le vesti e vedi al di sotto,
vedrai, mio consorte, che arrivi a diciotto!

Re (continuando)
E se alle mie brame non ponessi un freno
non passan tre minuti che il bandolo mi meno.
Vedendo tanti culi di Principi e Baroni
già sento un gran prurito nel fondo dei coglioni.

Popolo
Noi siamo felici, noi siamo contenti,
si rizzino i cazzi tuttora pendenti,
Madonna Ifigonia, soave e pudica
già sente prurito nell'inclita fica.
O Giove possente, che Venere bella
le faccia gran dono di tale cappella
che il culo le rompa, le rompa l'imene
e in fine la tolga da tutte le pene.
Sia pago il desìo della vergine cara,
meniamoci il cazzo in nobile gara.[6]
(Tutti eseguono)

Ifigonia (rivolta al popolo)
Quanta fava, quanta fava,
ma perché nessun mi chiava?
Su ficcatemi l'uccello
nella fica o nel budello;
nella fica o nel sedere
ve lo chiedo per piacere.[7]
Deh! Non fatemi soffrire,
ve lo chiedo per tre lire.[8]

Re
Udendo le tue giuste e oneste aspirazioni,
d'orgoglio mi ribolle lo sperma nei coglioni:
con animo commosso vedo tra i bianchi veli
spuntare lunghe e nere le punte dei tuoi peli.
Non voglio che si sciupi tanto lavoro mio,
con sforzo, forse, potrei chiavarti anch'io.
Il Sacerdote venga[9], si appresti al sacrificio:
Enter O'Clisma tosto ne tragga lieto auspicio.

Gran Cerimoniere
S'avanzi Enter O'Clisma, il Sacerdote,
dal culo più vezzoso delle gote.
(Entra il sacerdote)

Gran Sacerdote (Entrando)
Al Sire di Corinto, Signore degli Achei,
auguro cazzi in culo non men di trentasei.

Re
Al Grande Sacerdote, d'ogni rispetto degno,
si doni come omaggio un bel cazzo di legno.

Gran Sacerdote
L'omaggio tuo, mio Sire, mi rende il cuore gaio.
Però l'avrei più caro di ben temprato acciaio.

Popolo
Noi siamo felici, noi siamo contenti,
prendiamo l'uccello ben stretto fra i denti;
che al Gran Sacerdote quel cazzo d'acciaio
il culo gli renda sì come un mortaio!

Gran Sacerdote
Son corso immantinente alla regal chiamata
lasciando quasi a mezzo la solita chiavata.
Son però sicuro, se il ciel non me lo nega,
che mi compenserete con una bella sega,
che mi verrà tirata con arte sopraffina
dalla regale mano della gentil Regina.
Esponi il tuo desìo, Gran Sire venerando,
in fretta, te ne prego, non vedi come bando?

Re
Alla mia amata figlia, la pallida Ifigonia,
da qualche tempo prude la rorida begonia.[10]
Oh Sacerdote eccelso, chiuditi in sacrestia,
prendi l'uccello in mano e fanne profezia!

Gran Sacerdote
Eseguo senza indugio i tuoi voleri, o Re,
nel regal culo t'auguro cazzi novantatrè.
E subito profitto, avendolo sì duro,
di far come nel rito il debito scongiuro.

(S'inginocchia e litaniando...)

Salamelech, salamelech
Nel futuro ho messo il bec!
Non c'è bene, non c'è male,
Non c'è membro senza bale,
Non c'è donna senza fica,
Non c'è uom che non berlica;
Non c'è serva che non spari
Delle seghe ai militari,
Non c'è balia che al pompiere
Non la faccia almen vedere,
Com'è larga, com'è fatta
Finché questi non la spacca,
Non c'è al mondo una ragazza
Che al sognar non vada pazza
Per un cazzo fuor misura
Che le sballi la natura,
Ed il sogno non concluda
Che la fica non le suda;
Non c'è in terra giovanotto
Che non dica d'aver rotto
Con l'uccel fuori ordinanza
Per lo meno qualche panza
Mentre invece ha un pistolino
Assai corto e mingherlino
Che d'un subito s'affloscia
Se lo metti sulla coscia;
Non c'è donna senza veli
Non c'è cazzo senza peli,
Mentre invece più mi garba
Se la fica è senza barba,
Invitante e un poco pingua
Da ficcarvici la lingua;
Senza sol non c'è mattino,
Senza amor non c'è pompino,
Non c'è tram senza tramviere
Non c'è cul senza sedere;
Non c'è al mondo giovinetta
Che una volta almen non metta
Dentro al culo per benino
Piano piano il suo ditino;
Non c'è uccel che non si rizzi
E non faccia degli schizzi;
Non c'è donna savia e folle
Che al vederlo così molle
Non si chieda a tutto spiano
Come mai farà il banano
A mutar di dimensioni
Se lo tocchi sui coglioni;
Tutto questo di sicuro
Parte fa dello scongiuro,
Ma perché venga benone
Poso il dito sul coglione
E se poi siete contenti
Vo' a finir gli esperimenti.

(Il Gran Sacerdote esce da destra...)

Re
Adunque esulta, figlia mia diletta,
per la gioia che ti aspetta;
per soddisfare le tue giuste brame
avrai tosto un pezzo di salame.

Regina
Intanto, per tenerti in esercizio,
sarà bene che t'allarghi l'orifizio;
ti sceglierò io stessa, per le prove,
di sponda un letto di sessantanove,
E' quanto di meglio esista qui in Corinto
In frutti di banano a tipo spinto.[11]

Ifigonia
Padre mio, Padre mio,
questa volta l'avrò anch'io!
Sospirando quel bel lino
voglio farmi un ditalino,
domandandovi permesso
vado a farmelo nel cesso.

(Fa per avviarsi)

Re (trattenendola)
Rimani, o sconsigliata; il padre tuo diletto
innanzi al popol tutto ti gratterà il grilletto,
mentre il Cerimoniere, memore del mio pegno,
ti inculerà di dietro col suo cazzo di legno.
Se con le bianche mani mi tiene su i coglioni
vedrai nella mezz'ora quaranta polluzioni.

Popolo
Noi siamo felici, noi siamo contenti,
il Re ce l'ha duro in tutti i momenti;
seguiamo l'esempio del caro sovrano,
facciamoci forza , pigliamolo in mano!

Gran Sacerdote (entrando)
Nel filtro del futuro apersi uno spiraglio,
Mettendomi nel culo un mezzo spicchio d'aglio

Re
I detti tuoi sapienti son rapidi e fatali
come fuor dell'ano i nodi emorroidali.

Gran Sacerdote
Seguendo il tuo consiglio, o Re buono e sapiente,
misi l'uccello duro sopra un braciere ardente,
lessai il coglion sinistro, ne bevvi poscia il brodo,
grande e divino auspicio traendone in tal modo.
Questa è la frase magica che ho letto nel librone:
"Nessuno vada in figa se privo di goldone,
e che ad Ifigonia in figa nessun metta l'uccello
se prìa non sia svelato l'arcano indovinello.
Tra i principi di sangue dal ben tornito augello
bandito sia il concorso con un indovinello.
Che in fica di Ifigonia, la bella, non si vada,
se prìa non verrà sciolta almeno una sciarada"

Ifigonia
Dalla gioia son toccata,
già mi sento un po' bagnata
al pensiero di quel cazzo
che darà a me il sollazzo.
Sarà forte, duro e bello,
prepotente, quell'uccello?
Con la punta un po' rosata,
con la schiena un poco arcuata?
Duro, rigido e flessuoso,
ben spavaldo o timoroso?
Già lo sento tra le gambe
Ondeggiare in pose strambe,
penetrar nella vagina
o tentar la pecorina;
passeggiarmi sulla pancia,
le mammelle e sulla guancia;
or m'assal lo sghiribizzo
d'assaggiare il bianco schizzo.

Popolo
Noi siamo felici, noi siamo contenti,
udendo Ifigonia scandir tali accenti.
Il gusto di vivere è certo più bello
se dentro la fica s'adagia l'uccello.

Gran Cerimoniere (al popolo)
Toccatevi i coglioni, se li avete,
perché vedo transitare un prete.
(Tutti eseguono. Solo Ifigonia, troppo felice, non bada all'avvertimento del destino, e del resto non ha alcun paio, ahimè, di coglioni a portata di mano.)

(Cala lentamente la tela sul primo atto)

FINE PRIMO ATTO



ATTO SECONDO

SCENA
La stessa sala.
Sono presenti i principi pretendenti di Ifigonia con il loro seguito, in esecuzione della profezia di Enter O'Clisma.
I pretendenti si presentano...

Allah Ben Dur
Superando monte e valle
V'ho portato le mie palle,
e riempio un gran mastello
con la broda del mio uccello.

Don Peder Asta
Sarete delusa di tutti 'sti doni,
guardando d'Oriente i gloriosi coglioni:
ho riempito quattro stalle
col sudor delle mie palle!

Uccellone
O fulgida stella, o figlia di Re,
deh, guarda il dono portato per te!
Ho riempito una caserma
Solamente col mio sperma!

Spiro Kito
Io sono Spiro Kito,
dalle palle di granito.
Ho creato un nuovo lago
Col prodotto del mio mago![12]

Re
A voi che della terra siete i miglior coglioni,
rivolgo il mio saluto, o Principi e Baroni.
Sarete già al corrente di quel che ho decretato,
con il provvedimento che ho steso e poi firmato.
Ad ogni modo ci tengo a farvi noto
che quello che più conta è solo aver lo scroto
potente, blasonato, di nessun male affetto,
noto per le chiavate in piedi oppur sul letto.
Ma ad ogni modo mettetevi a sedere,
ve ne darà lettura il Gran Cerimoniere.

Gran Cerimoniere
L'anno sessantanove, il dì del due di agosto,
dalla Maestà Reale con animo disposto,
bandito fu il concorso con un indovinello
fra i Principi di sangue dal ben tornito augello;
Premio raro e nobile, ben chiaro lo si dica,
Sarà d'Ifigonia più che il cul la fica,
della vergine purissima che nulla ha di finto;
Firmato: Banano Primo, Sire di Corinto.

Gran Sacerdote (imponendo il silenzio)
S'avanzino separatamente i pretendenti;
(rivolto al popolo) fate largo, e al culo state attenti.

Allah Ben Dur
Io sono Allah Ben Dur dal poderoso uccello,[13]
e dall'Arabia vengo a dorso di un cammello.
Il viaggio fu assai lungo, percorso senza tappe
che per lo strofinio mi bruciano le chiappe.
Raggiunta in fin la meta di sì tremendo viaggio
ho piedi, fava e culo che puzzan di formaggio.
Rinunciai in Bagdad a un favoloso ingaggio
spronato dal desìo di misurarti il raggio,
il raggio della fica, o dolce Principessa,
ché ardo dal desìo di romperti la fessa.
Sul dorso di un cammello so far mille esercizi,
infransi più d'un culo all'ombra dei palmizi.
Le mie palle lucenti, senza badare al puzzo,
sembrano pel volume le uova di uno struzzo.
Son bruno, ardito e forte, devoto mussulmano,
e dell'Arabia tutta certo il miglior banano.
Con l'aiuto d'Allah sciorrò l'indovinello
E deporrò ai tuoi piedi il mio abbronzatouccello.

Ifigonia (leggendo)[14]
Avvenne un dì che un nobile prelato
lo mise dentro il culo ad un capriolo;
un figlio dal connubio essendo nato,
si domanda: com'era tal figliolo?[15]

(Allah Ben Dur dà segni di incertezza)

Gran Cerimoniere
Se non mi rispondi nella settimana
farò dello tuo scroto una sottana.

Allah Ben Dur (sempre più confuso)
Ehm, non saprei ... quell'alto prelato ...
Se il capriolo ha chiavato ...
non so dire ... avrà pigliato ...
perlomeno un po' di scolo ... [16] [17] 

Popolo (furente, facendo scongiuri)
Noi siamo infelici, noi siamo scontenti,
ti secchino il cazzo i nostri accidenti!
S'affloscin gli uccelli in segno di duolo,
quel testa di cazzo ci parla di scolo!

(Il principe è trascinato via a viva forza)

Gran Cerimoniere
Il primo pretendente è bello e fritto,
venga il secondo con l'uccello dritto.

Don Peder Asta (al Re)
Io son Don Peder Asta, gran nobile spagnolo,
astuto oltre ogni dire, viaggio col protargolo,
e sei preservativi per non subire l'onta
di prendermi lo scolo all'atto della monta.

(Ifigonia, provocatissima, scopre le anche, porgendo la fica alle labbra del Grande di Spagna)

Ifigonia
O Principe sapiente, venuto ai miei piè,
da quanto tempo pensi non uso più il bidè?

Don Peder Asta
Se il fiuto non mi inganna,
o mia adorata fata,
io debbo dirti che
non ti sei mai lavata!

Ifigonia
Villanzone, infame traditore,
tu offendi il mio pudore!

Popolo (incazzatisimo)
Lo sanno le troie, lo sanno i lenoni[18]
lo sanno gli Svizzeri dei Quattro Cantoni,
Fu il dì di Giunone, con mossa pudica
che madonna Ifigonia lavossi la fica!
Coi suoi venti chili di augusto formaggio
fu fatta una palla di un metro di raggio.[19]
Al prence sia data la pena infamante
di prenderlo in culo dal Sacro Elefante!

Re
Del Popolo sian tosto esauditi i voleri:
venga Bel Pistolino coi suoi venti staffieri!
Quaranta archibugieri[20] intanto, piano piano,
l'aiuteranno un poco col palmo della mano.
E nel caso imprevisto che non gli venga duro,
gli sfreghino con garbo la punta contro il muro.

(Entra Bel Pistolino, dando evidenti segni di giubilo: la scena si svolge alla presenza del popolo.)

Popolo (in delirio)
Pompa, pompa come un mulo,
fagli tremare le chiappe del culo!
Daglielo molle, daglielo duro,
fagli tremare quel buco oscuro;
daglielo duro, daglielo mollo,
fagli scoppiare le vene del collo!

Gran Cerimoniere
Il secondo campione è liquidato,
sia almeno il terzo Prence il fortunato.

Uccellone
Sono il nobile Uccellone,
sono Conte e son Barone,
chiavo donne a buon mercato
col mio cazzo fortunato.
La mattina appena desto
me lo meno lesto lesto,
poi mi sparo, a colazione,
qualche rapido raspone.
Prima ancor di mezzogiorno,
nobil donne del dintorno
fanno a gara, porco zio,
per provare il cazzo mio.
Quattro seghe a mezzogiorno
non fan male per contorno.
Verso sera, per divario,
rompo qualche tafanario,
alternando col pompino
la chiavata a pecorino.
Se son stanco, verso sera,
chiavo sol la cameriera.
Sulla punta del mio pene
Non si contan le flittene.
Vedi, bando come un mulo
alla vista del tuo culo!

Ifigonia
Sai tu dirmi il mistero della sfinge
la quale prima caca e poi spinge?[21]

Uccellone
Mi colma, oh Ifigonia, la tua parola oscura
i corpi cavernosi di gelida paura!
Il Ciel mi fu avverso, ignoro il mistero;
mi mette terrore un nero pensiero!
Già vedo il mio culo sfondato all'istante
Dal cazzo tremendo del Sacro Elefante!
Già sento roteare in rotto e alterno moto
i possenti testicoli entro il peloso scroto.
Ho nel fondo del cuore una puntura sorda,
come una dozzina di piattole che morda.
Oh nobile fanciulla, alle parole altere
sento che si rilascia persino lo sfintere.

Re (sdegnato)
Tu che fra tanti brami la mano di mia figlia,
col culo pieno d'aglio farai la Mille Miglia![22]

Gran Cerimoniere
Tosto venga eseguito del Sovrano il volere:
Si porti senza indugio d'aglio un gran paniere.

(Uccellone di Belmanico scoppia in una fragorosa risata)

Re
Tu ridi, o sconsigliato, davanti al gran travaglio
di far la Mille Miglia col culo pieno d'aglio?!

Uccellone
Mi fate solo pena, oh poveri coglioni,
ché per riempirmi il culo ne occorron tre vagoni!
Col culo pieno d'aglio, novello errante ebreo,
io batterò in volata la rossa Alfa Romeo!
(Si allontana baldanzoso)

Gran Cerimoniere
Sian tosto eseguiti i comandi del Sire,
col culo pieno d'aglio ei deve finire.

Ifigonia (piangendo nostalgica)
Addio mio Bel Manico, nobile Signore,
a perder il tuo cazzo non si rassegna il cuore.
Non hai colpa veruna, se con l'uccello dritto,
giammai non scandagliasti la Sfinge dell'Egitto,
se solo mille fiate alla tua chioma fulva
s'intrecciaron tenaci i peli della vulva.

Re
Non piangere Ifigonia, lustro dei peli miei,
sii paziente e devota ai detti degli Dei.

Gran Cerimoniere

Il terzo, a quanto pare, è bello e fritto,
s'avanzi il quarto, col banano dritto.

(Il principe Spiro Kito, figlio del Sol Levante, si avanza nei paludamenti di Gran Samurai.)

Spiro Kito
Il regno di Budda manda il mio cuore,
io vengo dal Regno del mandorlo in fiore.
Son Duca d'Oriente, nomato Spiro Kito,
ho il cazzo sì duro che par di granito.
Ancora bambino, giostrando da pazzo,
sembravo potente nell'uso del cazzo;
potente a tal punto, sebbene maschietto,
da farmi pensare a tenzoni da letto.
Poi vinsi il primato persin nei casini,
campione invitto di fiche e pompini;
tal che le ragazze, godendoci anch'esse,
m'offrivan per nulla le povere fesse.
Un'unica volta, una donna di rango
negommi convegno nel giro di un tango:
l'attesi, e quando s'offrì l'occasione
le ruppi il culo con uno spuntone.
Così la mia fama varcando le mura
Di questa, diciamo, casa di cura,
giungea alle bimbe di buona famiglia
dove la madre, più bon della figlia,
cullava l'uccello con docile mano
per fare alla figlia rompere l'ano.
Or passo all'azione, domanda Signora,
qualsiasi indugio va a danno dell'ora.

Popolo
Noi siamo felici e non siamo sciocchi,
questo senz'altro è un cazzo coi fiocchi.

Spiro Kito
Io vengo dal paese dei mandrilli
Dove si va nel culo pure ai grilli.
Son figlio del Giappone, Spiro Kito,
ed ho un paio di coglioni di granito.
Facciamo presto con le spiegazioni,
ché è tempo di sbrodar nei pantaloni.

Ifigonia
Vi era un eremita in Poggibonsi
che non cacava, e non faceva stronzi;
or dimmi: quando un rutto egli tirava,
ai suoi fedeli che impressione dava?

Spiro Kito
A simile domanda una risposta sola:
avea quell'eremita il culo nella gola!
La storia già ci narra del Principe Gargiulo,[23]
il quale nella faccia rassomigliava a un culo.
Ne sono più che certo, e dirlo posso lieto,
dell'eremita il rutto puzzava più di un peto!

(Il Gran Cerimoniere apre una pergamena e dà segni di approvazione. Il Re s'avanza, congiunge le mani dei due giovani Principi sanzionando l'unione, mentre il popolo e gli astanti si inginocchiano in religioso e muto ringraziamento agli Dei e le vergini innalzano al cielo il loro tenue canto.)

Vergini
O Venere buona, o Venere bella,
provvedi noi pure di dura cappella,
e come a lei, Principessa ed amica,
ci capiti in dono l'uccel nella fica.

Re
Un uomo siffatto che ha tanto di cervello
ragiona certamente con l'uccello.
Per Ifigonia mia, devota e grata,
ecco la fava tanto sospirata!
Sii degna dell'uccel che ti ho donato,
non obliando i fasti del Casato:
la grande Filiberta, illustre e saggia,
il culo si incendiò con l'acqua ragia,
preferendo la morte al nero duolo
di curarsi lo scol col protargolo;
Vulvina Bartolino, sua germana,
che arrossiva sbucciando una banana,
in un momento di furor demente
cacciossi nella fica un ferro ardente.
E la nobil Filiconia, tua bisava,[24]
sempre in lizza nel giuoco della fava,
morì, vetusta d'anni, in un bordello
col cuore trapassato da un uccello.[25]

Ifigonia
Il sorriso della fica
la mia gioia alfin vi dica.
Son contenta, son beata
ché alla fin sarò chiavata.
Ma vi giuro sugli Dei
di pensare ancor ai miei:
tanto al Re che alla Regina
quando m'alzo ogni mattina.
a lui dono un sospensorio
con il segno del littorio
ed a lei l'originale
di un bel cazzo artificiale[26].

Popolo
Noi siamo felici, noi siamo contenti,
s'innalzino i cazzi di gioia frementi;
porgiamoci tosto il culo di sponda,
l'uccello del Prence di gioia c'inonda.

Vergini
Noi siamo le vergini dai candidi manti,
s'intreccino i cazzi, s'innalzino i canti:
il grande fattaccio ci dona gaiezza,
e per la gioia tagliamo la pezza.
S'intreccin le danze, si innalzino i canti,
per farci chiavare useremo i guanti.
lasciamo le seghe, lasciamo i pompini,
lasciamo un istante i bei ditalini;
E' giorno di festa, l'azzurra pervinca
mettiamo all'occhiello del muso di tinca;[27]
seguendo l'esempio del popolo intero,
un grosso banano ci laceri il velo.

Gran Cerimoniere
E risuoni nella reggia,
perlomeno una scoreggia!
(esegue)

(cala rapida la tela sul secondo atto)

FINE SECONDO ATTO



ATTO TERZO

SCENA
La camera nuziale. Nei quattro angoli, quattro bidè dove bruciano profumi. Nelle pareti bracieri accesi. Pezze di marchese sparse.
A destra una porta che da' nell'appartamento del re; in fondo a sinistra, si nota un elegante water-closed con catena d'oro pendente. Ifigonia e Spiro Kito giacciono sul talamo.

Ifigonia
O amato Spiro Kito, Prence e Samurai,
il tempo passa e non mi chiavi mai!

Spiro Kiro
Desisti, o Principessa, dal chieder spiegazioni,
non vedi che cominci a rompermi i coglioni?

Ifigonia
Fammi vedere le palle di solido granito,
fammi toccar l'uccello almeno con un dito;
che brami, Spiro Kito, dalla tua dolce amica,
vuoi farmi prima il culo, o ripulir la fica?[28]

Spiro Kito
C'è una cosa, Ifigonia, che ancora non ti ho detto,
un segreto terribile che brucia nel mio petto.

Ifigonia
Oh parla Spiro Kito, mio divino,
t'ascolto col canal di Bartolino!

Spiro Kito
Un giorno, or son quattr'anni, soffrendo per un callo,
stavo prendendo un bagno nel Grande Fiume Giallo
e, come è sempre in uso tra i nobili Signori,
stavo rompendo il culo a paggi e valvassori.[29]
Quand'ecco passa altero un bonzo di Visnù
(allor mio caro amico, ci davam del tu)
il quale mi propose, con sordido cinismo,
di fare nel suo culo un giro di turismo.
Di meglio non bramavo, e come un folle toro,
soffiando a testa bassa glielo ficcai nel foro.
Ma quell'infame avea, nel nero tafanario
lungo, rapace e impavido, un verme solitario,
che mentre io mi godevo il morbido budello,
pian piano mi sbafava la fava dell'uccello.
Eccoti ormai svelato alfin tutto l'arcano:
il bruno Spiro Kito è privo di banano;
ed ora, mia diletta, quando vuol godere,
non ha altra risorsa che il buco del sedere.
Vedi, mi fai pentire d'esserti vicino,
per placar le smanie fatti un ditalino.
Or non è il momento di fare una chiavata,
il cane pechinese provveda alla leccata.
Passata da tempo è la mala avventura,
che tolsemi il membro di madre natura!
Ed or per il tuo bel sesso gentile
Io dunque t'ho fatto un Pesce d'Aprile.
Io sono imponente, in caso sì bello,
ma in modo assoluto mi manca l'uccello.
Io godo di dietro a modo di prete.
E' noto che il prete modello e perfetto,
privato dell'uso di maschio uccelletto,
se preso da brama di ibrida voglia
qualunque desìo nel culo convoglia.

Ifigonia
E' vero che i preti, a quanto mi dici,
prendendolo a tergo si rendon felici,
ma molti son quelli, lo provano i fatti,
che in barba alle leggi si chiavan da matti.
D'esempio sia al mondo, per detto Egiziano,
di Cesare invitto l'uccello sovrano.
Ignobil fellone, o vil traditore,
la nobile Ifigonia getti nel disonore.
Fui vittima innocente di un infame tranello;
potea mangiarti, il verme, il cuore, non l'uccello!
Crudele e perverso mi è stato il destino,
scegliendo a consorte per me un culattino.

Spiro Kito
Trascorsi tristi giorni col resto del mio uccello,
mi chiusi in una torre sovrastante il mio castello,
tristi notti, solo, mesto, avvolto in neri veli,
strappavo singhiozzando i miei lucenti peli.
Dieci giorni e dieci notti, solo, muto come un reo,
mi pelai tutto lo scroto con l'accluso perineo.
Quando alfine più non ebbi manco un pelo sul coglione,
senza l'ombra di un conforto mi buttai giù dal balcone.
Fu un istante... giunto al suolo dileguossi il mio tormento,
per dar luogo ad uno strano, novello godimento.
Volle il cielo, assai benigno, che nel rapido mio giro
io cadessi con il culo sull'uccello di un fachiro,
che da circa quarant'anni meditava sotto il muro
scarno, muto ed impassibile, ma col cazzo sempre duro.
Benedetto sia per sempre quell'uccello e quel momento
che la porta disserrommi al soave godimento.
Da quattr'anni sempre in viaggio per città, paesi e corti,
io di uccelli assai ne ho presi, lunghi, dritti e grossi e storti,
bianchi, neri, rossi, gialli, prepotenti e timorosi
profumati e puzzolenti, anche rigidi e flessuosi,
oleanti di formaggio, stranamente tatuati
malmenati orribilmente, un pochino scorticati.

Ifigonia
Furie d'Averno, o voi che anguicrinite
chiavar vi fate in pose pervertite
da quei ciclopi che hanno un occhio solo,
perché non vi pigliate mai lo scolo?
E tu, Giunone, che sull'Elicona
ti fai dal Can leccar sulla poltrona,
perché non ti mangia un pezzo di grilletto
il cucciol tuo fetente e prediletto?

Spiro Kito
Frena i tuoi detti alteri, o Ifigonia, basta!
Rispetta, se non altro, l'arte pederasta.
Vedo che tu le gioie non sai dell'intestino,[30]
te lo dice un esperto e vecchio culattino.

Re (entrando con una scatoletta in mano)
Ho sentito rumore dalla stanza vicina;
state cercando forse un po' di vaselina?[31]

(Ifigonia, furiosa per la delusione subìta, si avventa sui coglioni paterni)

Ifigonia
Anche la vaselina, nuovo scherno!
O padre snaturato, va' all'inferno!
Ora ti mangio il destro e poi il sinistro,
e sta certo che neanche il dio Calisto
se pietà si prendesse del tuo guaio,
ridar te ne potrebbe un altro paio.
Castrato sei, e se vorrai godere,
godrai anche tu col buco del sedere!

Re
Ahimé ahimé, o qual vista orrenda!
Mia figlia fe' dei miei coglion merenda!

(si accascia piangendo)

Gran Cerimoniere (entrando di corsa)
Accorrete Cortigiani, Duchi, Principi, Baroni,
Nobiluomini, Visconti dai bei nobili coglioni,
voi, pulzelle e maritate, Nobil Dame, Castellane,
che battete di gran lunga le più celebri puttane,
tralasciate le chiavate, i rasponi ed i pompini,
sospendete un sol momento i consueti ditalini!
Ifigonia, la sovrana, accecata dal dolore,
si mangiò le grosse palle dell'augusto genitore!

(entrano i cortigiani e le cortigiane in costume adamitico)

Re
Addio vergini belle, che lasciaste l'imene
sopra la forte punta del mio robusto pene,
addio peli rosati di donne e di bambini,
addio lingue sapienti, maestre di pompini,
Addio mio prode cazzo, piega da questa sera,
la rossa, audace testa un giorno tanto fiera!
Finite son purtroppo le giostre e le tenzoni:
non val robusta fava se priva di coglioni.
Addio nobile uccello, un giorno tanto grande
Da giungere alle stelle col poderoso glande,
signore della vulva, terror dello sfintere,
facevi ognor tremare il buco del sedere,
che mille e mille volte, furente come un toro,
dilaniasti le ceste giungendo nel piloro;
che mille e mille volte, con mosse agili e strane,
metteste a repentaglio le trombe falloppiane.
Tu, che mai cedesti a seghe ed a pompini,
stavolta fosti vittima di due denti canini,
dormi! Da questa sera sarà tuo cimitero,
in segno di cordoglio, un sospensorio nero.
Da oggi tu, negletto, starai nelle mutande,
né più le tingerai con il possente glande!
Meglio sarebbe stato di perder anche il cazzo,
ma perderlo da prode nel gioco del rampazzo.
Perir tu ben dovevi, ma in nobile tenzone[32]
invece, ahimé, peristi da povero coglione!

(il Re si apparta piangendo)

Gran Cerimoniere (rivolgendosi ad Ifigonia)
Ti sarà dato il tormento duro
d'esser legata colla fica al muro:
il popolo sfilerà, e tu con l'ano
farai da monumento vespasiano.

Ifigonia (avanzandosi alla ribalta come in estasi)
Sognavo un cazzo forte, da bambina,
perciò pregavo Giove ogni mattina,
ché, come un giorno avvenne per Enrica[33],
potesse capitarmi nella fica
Un poderoso e ben tornito cazzo
Per farmene per sempre il mio sollazzo.
Così non fu! E la Giustizia grande,
che gioia e pur dolore in terra spande,
volle che fossi, per crudel destino,
moglie di un detestato culattino!!!
Da prode morirò, come Raniere
Che non poté inculare lo sparviere.
Addio per sempre, Spiro Kito sposo,
mi butto pel dolor nel water closo.
Tu porrai fin, ti prego, alla mia pena,
tirando lentamente la catena.

(Prima che qualcuno possa trattenerla, Ifigonia si getta a capofitto nel water-closed. Spiro Kito, impassibile, ubbidendo ai suoi ultimi voleri, tira lentamente la catena. Tutti si inginocchiano pregando, mentre una salva di lugubri scorregge saluta la moritura.)

(cala definitivamente la tela)

FINE


[1] Già nei tempi antichi la bassa plebe era prona ai voleri dei reggitori: anche se lo si pigliava in culo, pur di ingraziarsi i potenti. D'altra parte perfino gli Apostoli incitavano, se pure con parabole, a porgere l'altra chiappa. E ancora oggi il popolo nelle pubbliche processioni canta, pur con non perfetta ortodossia, il "Mistero glorioso di S. Polluce - che col cazzo fatto a Duce - inculava i popoli".

[2] Non desti meraviglia il fatto che le vergini non sono digiune dei fatti della vita. Si ricordi il detto cinese: "Non tutte le donne sono puttane. Ci sono anche le troie".

[3] Non v'ha chi a questo punto non si sovvenga dei "Canti lussuriosi" che il Lipparini pubblicava nel 1909 nella rivista "Poesia" diretta da Enrico Filippo Tommaso Marinetti, là dove si legge:

Mai la lussuria più rabida morsemi, mai;
Ercole stesso io avrei fiaccato, ruinato, distrutto ...
Sentìa nel ventre profondo il viscere occulto vibrare.

[4] Si narra di un tal Caruso che, per essere castrato, usava di un immacolato cero sulle sue amanti.

[5] "O gran bontà de' cavalieri antiqui" commenterebbe qui l'Ariosto ("Orlando Furioso" I, 42)

[6] Secondo la traduzione operata dal Mengazza il popolo si esprime in maniera più terrena e alla nobile gara mette un "meniamoci il cazzo, vediamo se sbura".

[7] Secondo la traduzione del Mengazza, così supplicava la povera Ifigonia:

Su donatemi un uccello,
un uccello lungo e bello:
nella fica e poi nell'ano
che mi entri piano piano.

[8] Anche in questo caso la traduzione è incerta, e la dottrina egualmente divisa tra la succitata versione e la seguente: "Ve lo pago mille lire", frutto di una più recente revisione.

[9] Doppio senso egregiamente reso dalla traduzione dell'Aretino.

[10] "Begonia" qui sta certo per fica. La novità e l'arditezza dell'immagine non causeranno meraviglia in chi sia uso a considerare quale e quanta varietà di termini e di metafore abbia creato la fertile mente dell'uomo ad esprimere ciò che più vivamente colpisce la sua immaginazione. Che più? Dovrebbesi forse risalire al termine "sycon" che in greco significa fico e "gynaikeyon aidoion" (Aristofane), ossia "vergogna femminile"? E' forse necessario rammentare all'erudizione de' nostri dotti lettori il termine latino "cunnus", di cui trovasi traccia nel francese "con"? Non starò qui a ricordare quanta e quale varietà di vocaboli ci propone il nostro bell'idioma italiano, dal toscano "potta" (da cui anche "pottana") al termine corrente "fica", corrottosi poi in "figa" presso i recensori. Non ricorderò infine qui le felici immagini de' nostri scrittori, quale "natura" (A. Pigafetta, "Relazione del viaggio di Magellano"), o "Quel vaso donde si fanno i figli" (Cellini, "Vita"), o financo "Inferno" (Boccaccio, "Decamerone", III, 10).

[11] In effetti: "Cunnus fodi potest aut lingua, aut clitoride, aut quacumque re virili veretro simili" (Friedrich Karl Ferberg, "De figuris Veneris", ed. it. Catania, 1928, pag. 9)

[12] Per "mago" devesi senza dubbio veruno intendere quel che oggi, con altra non meno ardita metafora, il volgo chiama "uccello". E non a caso la saggezza degli antichi attribuiva alcunché di magico, quasi un divino afflato, alla parte più preziosa del corpo umano.

[13] Non è senza fondamento l'illazione di chi, sulla scorta di quanto acutamente scriveva il Wilamowitz-Moellndorf ("Untersuchungen uber dem Ur-Ifigonialied"; Leipzig, 1888, vol. IV, pp. 438-696) crede di riconoscere in questo arabo puzzolente, inculatore de' suoi correligionari non meno che degli infedeli, urlone e millantatore, il protagonista di antiche saghe popolari egizie, che narravano le gesta e la fine ingloriosa dello sceicco Ali Kàzzan-el-Nasser, il quale nel sesto secolo dell'era volgare, insignoritosi di alcuna parte dei deserti arabici, di là proclamava a gran voce voler dominare mezzo mondo. Il tutto si ricollega dunque all'aura di millanteria di cui il personaggio s'è circondato sinora.

[14] Lo schema metrico di questa strofa, e della successiva è cambiato, in effetti qui la critica è discorde, una scuola di pensiero ritiene infatti che sia un'altra la versione corretta. Il cambio di metrica, secondo il pensiero del Mengazza, è stato introdotto ad arte in epoca successiva, allo scopo di enfatizzare l'incertezza di Allah Ben Dur, la strofa originale invece era un'altra:

Un vecchio Prelato, un po' tristazuolo
In culo lo mise ad un giovin capriolo
S'accorse più tardi che l'estro di maggio
Rendealo padre d'un ibrido paggio.

 

[16] Secondo l'Aretino forse l'arabo intendeva suffragare la nota affermazione attribuita ad Hemingway: "Uno non è un uomo se non ha preso lo scolo almeno cinque volte".

 

[18] Ben giusta è l'indignazione del coro. Analogamente nello Shakespeare: "Il cielo tura il naso e abbassa le palpebre la luna; il vento ruffiano si rifiuta di ascoltare." Significativa è l'unità di ispirazione dei due drammaturghi, dato che con estrema probabilità non si conobbero neppure di vista.

[19] Risulta da questi dati che la fica della Principessa aveva una cilindrata di 4190 litri, come si deduce dall'antico adagio: "Il volume della sfera qual'è? Quattroterzipigrecoerretre!". Inoltre il peso specifico dell'augusto formaggio si può valutare in 0,0478 Kg/litro.

[20] L'Aretino e il Mengazza sono venuti ai ferri corti proprio per questo punto in particolare: la tesi del Mengazza sostiene, infatti, che nel 69 d.C. la polvere da sparo non era stata ancora inventata e quindi gli "archibugieri" non potevano esserci; il Mengazza trae forza da questa considerazione per affermare che l'opera è stata rimaneggiata in epoca moderna. Gli dà  contro l'Aretino, sostenendo che non di archibugeri si tratta, bensì di "archibugieri" cioè di "architetti del bugio", in effetti l'operazione di sodomia dell'uomo da parte di un elefante, è un operazione che richiede una certa tecnica.

[21] Questo enigma ricalca l'indovinello reperito dal Galavotti nel papiro di Berlino 7122, rinvenuto nella tomba del faraone Nabuccu-Durru-Ulsur.

[22] Con il riferimento alla "Mille Miglia" e, più oltre, a quello dell'Alfa Romeo, il lettore sarebbe portato a ritenere questo passo come un limite "post quem" alla datazione dell'opera. Mentre è un altro punto di discordia tra le dottrine del Mengazza e dell'Aretino, fattostà  che entrambi invece sono concordi nel ravvisare, tra le rime, un riferimento ad un personaggio storico. Si tratta di una delle più famose prostitute dell'epoca, dai capelli rossi come il fuoco, capace di soddisfare un intera legione in meno di un ora. Resta da vedere in che modo il nobile Uccellone pensasse di riuscire in una simile impresa. Questo la storia non lo dice.

[23] Chi sia quel Gargiulo non è dato a sapere. Il nome parrebbe una latinizzazione del nome germanico Georg, la cui radice, per gradazione vocalica, assume le forme "gorg" e "garg". Dal verso seguente alcuni esegeti hanno potuto trarre le prove che il personaggio in questione fosse un prete, o comunque un personaggio legato al mondo religioso.

[24] Di lei direbbe Shakespeare: "Aveva tralignato e s'era fatta baldracca" (Otello, V, 2).

[25] Tornano qui alla memoria i versi commossi di Dino Campana ("Notturno teppista" in "Canti orfici"): "Amo le vecchie troie / gonfie lievitate di sperma / che cadono come rospi a quattro zampe / sovra la coltrice rossa."

[26] Secondo il Mengazza, l'accenno al "cazzo artificiale" è una chiara prova di un rimaneggiamento avvenuto in epoca recente.

[27] Altra audace metafora dell'atto sessuale, reso ancora più evidente dall'abisso che separa i due elementi: un fiore ed un pesce. Non poteva essere data un'enfasi maggiore al sacrificio che le vergini vestali s'apprestano a celebrare per rendere omaggio alla principessa.

[28] Questa invocazione appassionata, piena di pathos, dal ritmo quasi liturgico e sacrale, risuona commovente sulle labbra della fanciulla già  sovrastata da un atroce destino. La tragedia incalza.

[29] Ritorna il tema morale già  proposto all'inizio del primo atto: è eterno destino dei sottoposti prenderlo nel culo dal capo che li comanda.

[30] Diversamente il Divin Poeta: "Questo moto di retro par che uccida" (Inf., Xi, 55)

[31] Quanta dolcezza, quanto amore paterno, quanta comprensione in questo vecchio padre sollecito di risparmiare inutili dolori ai giovani sposi! E quale crudele delusione lo aspetta!

[32] Nothos uersis II addit cod M.; incerto sensu, pro versibus: "Potevo sì morire, ma in nobile tenzone, - Invece di morire da povero coglione."

[33] Sua sorella.

Ultimo aggiornamento Giovedì 03 Febbraio 2005 14:36  

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